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I nostri articoli sul Pastore tedesco

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Dire no.

C'era una volta un giovane. Amava i cani, era innamorato del pastore tedesco e, per sua fortuna, aveva avuto buoni maestri. Poi ci aveva messo del suo, osservando, studiando, cercando di capire. Del suo linguaggio quotidiano facevano parte termini desueti per la gente comune: linea di sangue, genealogia, angolo scapolo-omerale, dimorfismo, displasia dell'anca e del gomito. I suoi fine settimana erano inevitabilmente sacrificati per viaggi in tutta Italia e in Germania, unterwegs zur deutsche Schaeferhund (in cammino verso il pastore tedesco. Cit.) Alla fine era diventato un allevatore, di quelli veri, seri, che lavorano con passione per avvicinarsi il più possibile allo standard. Il suo sogno era diventato quello di poter produrre i propri soggetti e trovare il giusto riconoscimento nelle esposizioni di razza. Per lui le gare erano una conferma della validità del suo lavoro. Amava le gare perchè amava la razza. Cominciò a ottenere i primi riconoscimenti, via via sempre più importanti. Non si considerava arrivato, pensava sempre di essere "in cammino". La soddisfazione, guardando i suoi bei cani, era tanta. Non aveva smesso di amare i cani, non li considerava una merce, da poter cedere e barattare. Vendeva i suoi cuccioli, certamente, ma non aveva mai smesso di vivere i cani. Era un Allevatore. Chi ama i cani sa che inevitabilmente li dovrà perdere, perchè la loro vita è molto più breve della nostra. Chi alleva sa di poter tenere con sè i cani che ha amato, ritrovandoli nei figli, nei nipoti, nei pronipoti. Chi ama la razza resta incantato da un pastore tedesco che si muove al trotto e non si sente ridicolo quando usa termini come movimento radente, fluido, ampio perchè quei termini sono un tentativo di esprimere, con delle definizioni, una magia. Chi ama la razza resta incantato dallo sguardo fiero e nobile del pastore tedesco e non si sente ridicolo ad usare termini come distinzione e classe, perchè quei termini sono un tentativo di esprimere, con delle definizioni, l'intelligenza e il cuore di un cane davvero straordinario e unico per il suo carattere.
Questo era il sentire del nostro allevatore, ormai divenuto quasi famoso.
Che dovrà fare, quell'allevatore, oggi ? Dire sì alle proposte indecenti, farsi inglobare dal sentire comune, rinunciare al sogno del cane che si impone per le sue qualità e i suoi meriti e cominciare a fare accordi, vendere i propri soggetti perchè il suo affisso possa divenire famoso in tutto il mondo? Mettere la sua esperienza al servizio di personaggi famosi, erroneamente considerati grandi, nei fatti assai meno capaci di lui, se non totalmente incapaci, nell'arte di allevare, ma abilissimi nel management del business cinofilo? Lasciare che il suo sogno dell' Auslese in Germania si realizzi senza prendervi parte, con i frutti del suo lavoro (quei pronipoti e discendenti dei cani amati) ridotti a merce, destinati a finire in mani estranee, per poi essere venduti nei mercati mediorientali? Allora il suo nome e quello del suo affisso saranno riconosciuti in tutto il mondo del pastore tedesco. Il suo volto un po' meno, sbiadito in qualche fotografia trionfale, scattata a fine gara, con la coppa, il cane con la sua corona e medaglia. Una fotografia di rito, che spetta a chi quel soggetto ha allevato. Ma resterà solo una fotografia, in un finto palmares dove lo stesso cane, ugualmente preparato e ben presentato, sarebbe arrivato venti, trenta o cinquanta posti più indietro senza l'intervento dei "marchionne" del pastore tedesco. Quale prezzo dovrà pagare ai marchionne italiani o tedeschi?

Si può ancora, in questo mondo ormai non più definibile come cinofilo, dire: "no, grazie" ?

Si può. Qualcuno lo ha anche fatto. Quelli che lo hanno fatto sono serviti da esempio. Perchè siano ben chiari a tutti i "costi" del "dire no": cani selezionati di seconda, retrocessi perchè il loro difetto diveniva improvvisamente "da penalizzare in questo momento storico", chiamati alla siegerschau o nelle esposizioni tedesche in posizioni indecenti rispetto al loro reale valore. Diviene chiarissimo a tutti che cosa accada a dire "no".

Una volta avevo una convinzione (ad essere sincera, l'ho ancora). Ero convinta che le istituzioni (leggi le società di razza) servissero proprio per tutelare i piccoli appassionati e gli allevatori amatoriali. Ero convinta che il compito dei Responsabili di Allevamento (da quelli sezionali a quello nazionale) fosse quello di valorizzare i bei cani, fornendo ai proprietari tutti gli strumenti per poter portare il loro soggetto al massimo della carriera espositiva. Ma questa è, in Italia, l' era del "caso Wafa", con i suoi protagonisti posti ai vertici della gestione societaria (in Germania, invece, è l'era del Protocollo di Hamm).
I piccoli appassionati, gli allevatori amatoriali, si adeguano....convinti così di "andare a cento all'ora" (Bunga...bunga bu bunga bunga bungaaaaaa.....)

andavo-a-cento-allora

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